Fra Giacomo Bulgaro

Testimonianze

Testimonianze su Fra Giacomo


P. Andrea Eccher
Ministro provinciale Ofmconv dal 1940 al 1952

“Fra Giacomo era per me un religioso perfetto, un vero santo. Era esemplare in tutto, ma a me, come superiore provinciale, faceva grande impressione il suo spirito di obbedienza. Con lui bisognava andare cauti nel dare comandi, perché li eseguiva ad litteram, non conosceva interpretazioni riduttive o adattamenti di comodo.
La sua carità verso i poveri e i bisognosi. Era sempre a loro disposizione e li serviva con premura materna. Era lui ad aspettarli in portineria; non occorreva che suonassero il campanello o che lo chiamassero, perché egli era là, in attesa di servirli; non voleva che fossero i poveri ad attendere, sembrava che il povero fosse lui e che attendesse da loro un favore.
Basta leggere i suoi quaderni per comprendere fino a quale vertice era arrivata la sua comunione di vita con Dio, con Gesù, con Maria. Era sempre in preghiera e in unione con Dio”

(da intervista, 7.1.1983)


P. Fausto Casa
Per tredici anni nel convento di Brescia con fra Giacomo.

“Fra Giacomo era un uomo semplice, di cultura elementare, ma intelligente, sveglio e di grande buon senso. Era un uomo di preghiera. Preghiera ininterrotta. Quando parlavo ai chierici e citavo la frase del Celano riferita a San Francesco: “Non era solo un uomo di preghiera, ma un uomo “fatto preghiera”, dicevo a commento: “Guardate fra Giacomo”. Era l’esempio più eloquente e vivo, davanti agli occhi di tutti. E tutti ne erano convinti.
Era un uomo obbediente. La sua obbedienza era proverbiale tra noi, che dicevamo: “Obbediente come fra Giacomo”. Portava a termine con estrema diligenza ogni incarico, non discuteva le disposizioni dei superiori, si preoccupava solo di eseguirle, convinto di fare la volontà di Dio, coraggioso nel rinnegamento di ogni sua veduta personale.
Era un uomo semplice, povero. Non voleva avere nulla, neanche una matita o un quaderno, senza il permesso del superiore.
Era sempre sorridente, gentile, disposto ad ascoltare. Parlava poco, perché si riteneva ignorante e l’ultimo di tutti.
Era sempre disponibile. Ad ogni suono di campanello, ad ogni chiamata, faceva e rifaceva le lunghe scale del convento (allora non c’era l’ascensore), senza mai lamentarsi. Proprio così: non si lamentava mai di nulla, di nessuno. Sembra poco, ma credo che questo sia un indice di grande padronanza di sé e di equilibrio interiore perfetto.
Non giudicava nessuno, ma sapeva distinguere bene, con immediatezza, ciò che era gradito a Dio da ciò che era meno perfetto.
Non gli mancava il senso dell’umorismo, che si esprimeva con un amabile sorriso o con qualche frase ricca di buon senso.
Fra Giacomo venerava il superiore come l’angelo di Dio. Non guardava la persona umana, ma vedeva Dio attraverso di lui. Appena arrivava il nuovo superiore, senza indagare sulla sua personalità, egli si recava da lui e umilmente si metteva tutto nelle sue mani. “Tutto”, perché per fra Giacomo il superiore era anche il padre spirituale, il confessore, la guida.
Per ordine del superiore, teneva un diario in cui annotava i suoi semplici pensieri. Ho potuto leggere i quaderni del diario dopo la sua morte. Mi ha colpito la frequenza con sui si richiamava all’amore di Dio, che egli preferiva chiamare “dilezione”. Sembrano balbettii estatici di un bambino che è avvolto dalla “dilezione divina” e non sa esprimere con parole la sua gioia.
Ho assistito alla sua morte, il 27 gennaio 1967. Eravamo parecchi confratelli intorno al suo letto, nella cella dove era vissuto. Trattenevamo il fiato. Pregavamo. Osservavamo il suo volto tranquillo. Ci pareva un angelo che, dopo averci insegnato come vivere, ci indicava come era serena e bella la morte del giusto.
Appena spirato, ci venne spontaneo dire: “Fra Giacomo, prega per noi, per i tuoi confratelli che hai tanto amato”.
La sua salma, dopo i solenni funerali, fu portata nel cimitero di Brescia, ma è desiderio di tutti che possa essere trasportata nel convento San Francesco, dove egli era passato come il dono più grande che il Signore poteva farci”

(27 gennaio 1983)


P. Fulgenzio Campello
A Brescia nel 1933, 1934 e parte del 1938

“La giornata di fra Giacomo trascorreva nella preghiera e nel lavoro. Era sempre umile e rispettoso con i confratelli; paziente in portineria e quando, al martedì, distribuiva il pane ad una lunga fila di poveri nel chiostro trecentesco.
Era obbediente sino allo scrupolo.
Un giorno del 1934, nel tempo degli esami di giugno, mentre fra Giacomo stava lavando il chiostro, mi avvicinai e gli dissi: Fra Giacomo, fra pochi minuti comincio gli esami di matematica: faccia una preghiera per me.
Mi guardò e rispose: Sì.
Subito si mise in ginocchio sul pavimento e, rivolto verso la chiesa, cioè verso il Tabernacolo, pregò. Poi riprese il suo lavoro. I miei esami quel giorno si conclusero bene.
Fra Giacomo Bulgaro lo ricordo con tanta venerazione

(29.1.1983)


P. Bernardino Bordin
Vissuto nel convento di Brescia dal 1953 al 1960

“La figura di fra Giacomo è sempre viva in me e la sua umile santità continua sempre a stupirmi e ad edificarmi.
Lo vedevo sempre composto, dignitoso, ordinato nelle sue cose, chiaro anche nella sua calligrafia, servizievole, sorridente. A tutti appariva innamorato di Dio, di Cristo, di Maria, dei Santi, anche se cercava di tenere per sé i suoi segreti sentimenti. Bastava parlare con lui, e si sentiva subito l’accento di un uomo di Dio. L’amore di Dio era in lui sovrastante, lo assorbiva interamente, veniva prima di ogni altro amore. Da qui il suo bisogno di preghiera, di contemplazione, di intimità con Dio. Pregare era il suo carisma primario, Dio era il suo spazio vitale, viveva in un incessante dialogo con il suo Signore. Non ho mai notato, mentre pregava, fatti straordinari o atteggiamenti non normali. La preghiera lo preparava al lavoro e il lavoro diventava preghiera, sacrificio spirituale che egli univa al sacrificio di Cristo, per cui tutta la sua vita si trasformava in una incessante dossologia.
Fra Giacomo considerava un vero privilegio il servizio di carità verso i poveri, che di continuo bussavano alla porta del convento. Il servizio ai poveri non aveva orari, non si salvavano neppure i pasti. Era edificante vedere fra Giacomo uscire dal refettorio, ancor prima che il pranzo fosse terminato, con la cesta di pane sotto il braccio per portarlo ai poveri. Al pane aggiungeva spesso gran parte del suo pasto o quanto gli passavano i confratelli. Vedeva in ogni povero il volto di Cristo e lo trattava come se fosse Cristo in persona”

(22.10.85)


P. Antonino Poppi
Studente nel convento di Brescia dal 1947 al 1950

“Con fra Giacomo non ebbi particolari incontri personali che mi permettessero di scoprire il panorama interiore di quell’anima che già allora ai nostri occhi giovanili appariva come un vero uomo di Dio, un perfetto religioso francescano.
Ebbi subito grande ammirazione nel constatare il modo pieno di carità con cui fra Giacomo serviva i poveri. Si era da poco usciti dalla guerra e la povertà nel paese era grande. Fra Giacomo aveva l’incarico del servizio ai poveri che suonavano alla porta. Teneva sempre del pane nella sua guardiola e lo dava via con gentilezza e generosità.
Ricordo con altrettanta ammirazione il suo senso vivo dell’obbedienza e della dipendenza in tutto, la prontezza alla voce del superiore, al suono della campana.
Tale carità verso tutti, l’obbedienza totale alla regola e alla vita interna della comunità, trovavano alimento in una profonda vita interiore, che mi apparve sempre evidente dal suo stesso comportamento sereno e riservato. Viveva in un continuo raccoglimento, non solo nella preghiera comunitaria, ma ovunque, in tutta la giornata”

(8.12.1982)